Milano – L’Abi ha 100 anni. L’antica virtù italiana per abbattere il debito

L’Abi ha cento anni e l’anniversario, ha visto convergere su Milano, il Presidente Mattarella, il Premier Conte, il governatore della Banca d’Italia Visco, il ministro all’Economia Tria oltre a banchie ri, imprenditori e politici. Il Presidente Abi, Antonio Patuelli, ha disegnato il punto della situazione economica ed ha indicato, come appare necessario, favorire l’accesso ai capitali bancari di inve stitori eliminando, per quanto possibile, le tante barriere oggi esistenti. Le banche sono, istituti di credito insostituibili, in un’economia liberale, ma devono essere forti tanto da poter intervenire in un’economia mondiale, sempre più difficile. Occorrono regole precise e controlli continui, così come appaiono molto utili, le fusioni, per un sistema in grado di fronteggiare le emergenze determinate da altri mercati. Giovanni Tria ha colto l’occasione di mettere in risalto, il lavoro del governo per evitare un’infrazione, che avrebbe determinato un quadro economico  molto difficile. Così come il Premier, non ha mancato di precisare che l’azione svolta dall’Italia, sui conti interni da ottenere una svolta a livello dell’UE: ha tagliato le unghie, ai troppi che a Bruxelles, davano per scontato che l’Italia non poteva offrire nulla e quindi sarebbe stata ” commissariata”. Così non è stato e lo spread in discesa conferma la giustezza delle decisioni assunte, spread che proseguirà a scivolare verso il basso, afferma Conte. Ma il problema italiano è il forte debito che, come raccomanda anche l’UE e, non soltanto l’Unione, va abbassato più di quanto previsto. E’ una pesante palla al piede che impedisce all’economia di decollare. Da esperto in Programmazione Economica, c’è da sposare, dopo decenni, “l’idea fissa” del leader del partito repubblicano, Ugo La Malfa, che sosteneva la necessità di operare, per un indebitamento controllato, così come accade per ogni Stato. Cosa significa? Cercare di affrontare il forte indebitamento, con un’economia espansiva, è un modello sperimentato, anche con successo. Ma occorrono decenni, ed in questo periodo lunghissimo, ogni governo il colore non conta, si troverà davanti il problema del debito eccessivo per ammodernare il Paese con infrastrutture necessarie allo sviluppo. Questo è il momento in cui si sta affrontando la riforma dell’Autonomia. Ma il problema delle Regioni che chiedono di trattenere  denaro, dove si produce di più, andrebbe legato a doppio filo, con una maggiore contribuzione per diminuire il debito, palla al piede, non solo dello Stato ma anche delle Regioni. Occorre una cura da cavallo e liberarsi di questo gap che viene utilizzato, dagli Stati concorrenti dell’ottimo lavoro italiano, bloccando lo sviluppo della nostra Nazione. Una cura da cavallo che non deve incidere sulla politica espansiva, ma integrarla, con una contribuzione (per evitare la parola tasse ) che, potrebbe essere un’anticipazione allo Stato di quanto necessario per riscattare l’Italia da una forma di schiavitù inaccettabile. Ok è vero che i governi dall’80 in poi, hanno avuto le mani bucate e hanno affondato le mani nel tesoro dello Stat0. Ma oggi si dovrebbe avere il coraggio di far fronte a questo gap, che condiziona il lavoro, presente e futuro, dei nostri figli e nipoti. Una contribuzione straordinaria che non deve riguardare solo la moneta ma anche il lavoro. Ad esempio  un’ora in più, senza pretendere alcuno straordinario. La condizione appare ovvia: tutto il ricavato, nelle sue varie forme, deve andare in un’unica direzione obbligata: tagliare la catena che ci lega ad un debito troppo elevato. Non è una soluzione da scartare se si considera che nel mondo, gli italiani ai vari livelli, hanno lavorato tantissimo e bene tanto da arricchire i Paesi che li hanno accolti. Lo stesso slancio, dei nostri nonni o padri, oggi servirebbe a riscattarci. Sarebbe l’inizio di un lungo periodo virtuoso da far vivere in serenità le  future generazioni.

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