La politica interna italiana vive in grande tensione. I dem guardano, con crescente preoccupazione, alle regionali in Emilia Romagna e in Calabria, dove il leader del centrodestra Salvini, non lascia un’istante di attaccare il Pd di Zingaretti e il M5S di Di Maio, ritenuti incapaci, non già nell’affrontare la compromessa situazioni libica, ma in costante contrasto di quello che si dovrebbe fare, e non si fa: per l’economia, l’occupazione e il rilancio di un’Italia bloccata. La stampa estera, fa gli stessi rilievi del leader della Lega, ma non si pone la domanda, della crisi ferragostana, provocata proprio da Salvini. A parte queste considerazioni, già digerite dagli italiani, restano i problemi di una coalizione M5S – Pd che non riesce a funzionare. Non c’è accordo sulla prescrizione, problema che doveva essere discusso oggi, rinviato a giovedì, per il “no” a modificare il testo, da parte del ministro Bonafede che ritiene, di aver portato in porto la riforma necessaria agli italiani. Di parare opposto, Pd e Italia Viva che minaccia, addirittura, di votare il testo, studiato dal parlamentare Costa di Forza Italia, in caso di un no, ad un accordo con il M5S. Ma non è solo questo il problema, peraltro gigantesco. Non è pensabile che Renzi accetti, come vuole Di Maio, la cancellazione del Jobs Act e venga ripristinato l’articolo 18. Se il governo Conte 2 deve andare avanti, ed evitare elezioni anticipate, le forze politiche non possono che dialogare e trovare dei punti d’intesa: non ci può essere, chi vince e chi perde, su un percorso da condividere. Certo gli italiani, sempre più bombardati da notizie sconcertanti, per una delinquenza dilagante nonostante l’impegno delle forze dell’ordine, non accetterebbe l’abolizione del Dl Sicurezza, proposto ed approvato ed ora ritenuto, eccessivamente duro. Basta ascoltare i timori delle popolazioni, anche dei piccoli centri, per comprendere che in questo momento sarebbe sbagliato: la gente ha paura. Così come non è il momento, come afferma il ministro Di Maio, mettere le mani, sul reddito di cittadinanza e quota 100. In realtà le riunioni, anche notturne a Palazzo Chigi, hanno reso pochissimo: i cantieri non sono stati riaperti, il M5S vuole la testa dei Benetton, concessionari autostradali, che non hanno effettuato le necessarie manutenzioni: il crollo del Ponte Morandi di Genova non è l’unica gravissima “omissione”, sono tantissimi i viadotti pericolosi. Ma sulla revoca delle concessioni c’è uno scontro, tra Renzi e Di Maio, mentre il Pd non appare schierato, in modo unitario. Ma Italia Viva, ogni giorno di più diventa determinante, per far proseguire la legislatura, c’è il preoccupante sfaldamento del Movimento, che perde pezzi a favore della Lega o, del gruppo misto da dove, tra non molto, dipenderà la sorte del governo se andranno in porto, le operazioni, di gruppi autonomi dal Movimento, per dire la loro su ogni richiesta di voto, nelle Aule del Senato o della Camera. La confusione è tanta e il 26 gennaio si voterà per le regionali, in Emilia Romagna e in Calabria: altre incognite per il governo. La politica quella vera, della trattativa, della reciproca compensazione sui vari argomenti, dell’appartenenza ad un ideale e l’interesse del Paese, sembra proprio andata in vacanza o liquidata per sempre. Non è pensabile andare avanti, con diktat o minacce. L’arte di governare in coalizione è smussare gli angoli e procedere, con provvedimenti attentamente mediati. L’agenda 2000 verrà discussa dai dem, in “conclave”, nell’Abazia nell’aretino, il 13 e 14 gennaio prossimi. Il M5S se la deve vedere con chi non rispetta, il contratto sottoscritto all’atto della candidatura e con Alessandro Dibba che ha sposato, le ragioni del vero grillino Paragone, espulso dal Movimento per decisione dei probiviri. Altri sono già in lista per fare la stessa fine. C’è da chiedersi come sono finiti in Parlamento e chi ha fatto, sia pure una sommariamente la cernita, considerato lo sfarinamento del Movimento che nel 2018, cioè due anni fa, era riuscito a piazzarsi a quota 33% primo partito italiano.