Il Referendum sulla legge elettorale, proposto dalle otto regioni di centrodestra: Veneto, Piemonte, Friuli, Venezia Giulia, Sardegna, Abruzzo, Basilicata e Liguria non si terrà. Questa è la decisione della Corte Costituzionale che ha emesso la sentenza nel tardo pomeriggio. La Corte Costituzionale ha ritenuto che le norme previste, sulla distribuzione dei seggi e trasformare il sistema in maggioranza pura, era eccessivamente manipolativo. Le forze politiche hanno subito preso posizione. Salvini della Lega, ha ritenuto la decisione della Corte “un modo per tentare di dare spazio ad una legge diversa e non favorevole ad altre componenti politiche ed ha concluso che: non rimane che battersi per ottenere quello che chiederemo per via parlamentare. Non può e non dee decidere, sempre la magistratura, e non gli eletti dal popolo ha concluso il leader del Carroccio”. Il Pd e il M5S hanno invece apprezzato la decisione della Corte e si metteranno al lavoro per un proporzionale, con uno sbarramento alto, si parla del 5%, per garantire al Paese la governabilità senza tanti frazionamenti. Prima della sentenza,i big del centrodestra erano convinti che il referendum sarebbe stato autorizzato nella certezza che in democrazia vale quello che vuole il popolo, ed otto regioni non sono poche, e non organi dello Stato. Così come Pd, M5S, LeU, e cespugli di sinistra erano di parere opposto, in quanto, il risultato elettorale sarebbe stato vanificato con una serie di “marchingegni tecnici” tanto da cambiare la volontà popolare. Con questo passaggio si chiude una fase e se ne apre un’altra: quella del referendum sul taglio dei parlamentari e la legge elettorale, cambiando l’attuale, che verrà proposta dall’attuale maggioranza. Ma i tempi non sono facili e per trovare intese, senza i necessari accordi tra le diverse posizioni politiche non sarà facile. Un esempio, per tutti gli altri. Il leader di Italia Viva, partito di nuova costituzione, non accetterà uno sbarramento al 5% ma lo vorrà più basso, per ovvie ragioni legate alla necessità di avere il tempo necessario per farsi conoscere, come linea e programma. Così sarà per LeU, Bonino ed altri gruppetti che vorranno avere voce in Parlamento. Vedremo ma la stagione che si apre è carica di incognite.
Roma – Governo trema. Renzi difende lo Stato di diritto e vota con il Cd
Si sta complicando, la situazione politica italiana, dopo che il leader di Italia Viva, ha votato con il centrodestra e Salvini il testo, per un giusto tempo necessario alla prescrizione, senza seguire quella decisa dal ministro per la Giustizia Bonafede. Una riforma che se rimarrà tale, rimarrà sulla testa di chi subisce una sentenza, dalla quale uscirà innocente o colpevole, per un tempo indeterminato, anche a vita. Matteo Renzi, ha risposto al Guardasigilli, che lo considera isolato, che ” …non ho rotto la maggioranza ma solo difeso, lo Stato di diritto, e mi sono battuto per il tipo di prescrizione voluta dal Pd. Abbiamo votato per ripristinare, quanto deciso dai nostri govern,i cancellando le misure giustizialiste e populiste. Mi spiace – afferma Renzi – che il Pd vada a rimorchio del M5S. Il ministro Bonafede è convinto che la maggioranza è compatta nel seguirlo ma, dalle tante prese di posizione, sembra che non sia così e che su questo specifico argomento il governo Conte debba temere di inciampare, in quanto inizia ad essere visibile e non è più dietro un angolo la mancanza di voti al Senato . Lo stesso segretario del Pd, Zingaretti, prima del ritiro in Abazia nel reatino aveva mantenuto il punto: processi in tre anni più sei mesi, se necessari e no alla prescrizione all’infinito. Cos’è cambiato nell’arco di solo pochi giorni? Questo si chiede Matteo Renzi al Pd, vecchio o nuovo che sia, lo chiede a Franceschini vuole stare al governo, punto e basta e chiama in causa, sia pure indirettamente, l’ex ministro alla Giustizia Orlando e il capogruppo alla Camera Delrio. Se lo chiede anche l’elettore che vede i democratici, ripiegati sulle decisioni del Movimento, certamente per il caso prescrizione, e non riesce a comprendere se le due forze, tra loro alternative e non complementari, avranno un percorso comune solo per evitare elezioni anticipate per il pericolo di perdere con il centrodestra di Salvini. La politica italiana si complica ogni giorno di più: inevitabile se non ci sarà chiarezza su: programma, investimenti, lavoro, e welfare: cioè i punti fondamentali per una maggioranza di sinistra che la maggioranza di governo subisca, per sua colpa, una erosione inevitabile.
Roma – Di Maio sotto il “fuoco amico” . Di Battista:” Caccia Benetton”
La crisi del M5S è innegabile ed indecifrabile. Altri parlamentari hanno lasciato verso il misto o la Lega di Salvini. Il ministro per gli Esteri Di Maio, impegnato con il suo staff per la soluzione vitale per l’Italia,: il problema libico cerca di occuparsi, anche di quello che accade nel Movimento ma è molto difficile che ci riesca. Inoltre, soltanto tra 11 giorni si voterà per le regionali, in Emilia Romagna e Calabria, e il Capo politico, almeno fino al 19 ma tutti sperano anche oltre la Conferenza di Berlino, dovrà cercare di lavorare ancora per stabilizzare il Paese africano, a poche miglia dall’Italia. In Libia, non è più un mistero, ci sono terroristi ex Isis e Stati, non solo arabi, che puntano ad installarsi in una Libia debole e allo sbando, per trarne notevoli guadagni e posizioni strategiche. Così mentre Di Maio è impegnato su questo fronte, sta accadendo di tutto. A parte chi si trasferisce per posizionarsi altrove, c’è anche chi rimane dentro il gruppo parlamentare ma forma, in realtà aggregazioni autonome di parlamentari pentastellati, indisponibili a seguire gli ” ordini” del Movimento. In questa grande confusione, il ministro Di Maio ha ritenuto, nel tentativo di calmare le acque, di prendere le distanze da Casaleggio e dalla Piattaforma Rousseau che godeva, come denunciato da molti parlamentari del M5S, di agevolazioni in termini di eccedenze economiche. Ma la vera spina nel fianco di Di Maio è Di Battista, un battitore libero, molto seguito nel Movimento, per il suo volontariato gratuito e per le idee che esprime, molto diverse da quella del ministro Di Maio. Di Battista, afferma ancora una volta, di stimare voler bene a Di Maio che aver ottenuto durante quel Decreto Dignità che ha migliorato molto, la visione dell’Italia, anche all’estero. Di Battista, non ha voluto fare il ministro e nemmeno il parlamentare, segue la politica dall’esterno e punta dritto per ottenere che le sue idee si concretizzino. Oggi è sceso nuovamente in campo per rammentare, al Capo politico Di Maio ,che vanno tolte le concessioni autostradali a Benetton, responsabile del crollo del Ponte Morandi a Genova. E che non è possibile nessun’altra soluzione con il M5S al governo. Di Battista, rammenta le vittime di quella tragedia avvenuta nella città della lanterna e punta il dito in una sola direzione. L’uomo che lavora gratuitamente per la Piattaforma Rousseau – scrive su Fb – di essersi venduto ma non è affatto così: continua ad operare gratuitamente come ha sempre fatto. Darà una mano anche se sarà complicato ” farlo dall’Iran dove sono diretto”. Il ministro Di Maio – lo ha detto più volte – che le concessioni all’Autostrada Spa vanno tolte a Benetton. Ma in una coalizione, peraltro fragile, con le fughe, bisogna tener conto e discutere la revoca con chi condivide le responsabilità di governo. Italia Viva è contro la punizione estrema, il Pd temporeggia per trovare la strada che non faccia danni, il Premier ha parlato di “gravi inadempienze, dell’Autostrada Spa”, ma attende che la maggioranza decida in modo compatto per la revoca. Allo stato non c’è nulla di definitivamente deciso. Di Battista, non alza il tono della voce, ma indirizza gli strali che finiscono per colpire anche Di Maio. Non gli è mai andata giù la coalizione con il Pd e sostiene, che bisogna contrastare il liberismo, definito il fascismo di oggi, e che se c’è chi pensa che ci sono differenze, su questo tema, tra Renzi, Salvini, Bonino si sbaglia di grosso. Il ministro Di Maio, davanti a questa analisi accusa una “rasoiata”, condita da una caduta alle regionali. E a Berlino si decideranno, se sarà possibile, fatti determinanti per la nostra sicurezza nazionale. Questa è la politica e le sue strategie interne ed esterne. Grillo con chi sta? E Casaleggio starà zitto dopo aver garantito che la piattaforma Rousseau, non ha nulla a che vedere?