Il M5S continua a sfaldarsi, anche oggi sono usciti, per andare al gruppo misto, i deputati Nunzio Angiola e Gianluca Rospi. Hanno abbandonato il Movimento e attaccato, il vertice quindi Di Maio, per “scarsa collegialità e chiusura pregiudiziale nelle proprie granitiche convinzioni”. I due deputati hanno anche denunciato “scarsa attenzione sia alle persone e sia ai professionisti nonchè scarsa visibilità ed ascolto dei territori nelle scelte governative”. Angiola e Rospi, nel lasciare il gruppo nel quale sono stati eletti, si sono rivolti al loro elettorato per rassicurarli che, dal gruppo misto faranno il loro dovere ed aiuteranno i collegi dove hanno avuto i voti, a sviluppare investimenti e lavoro, più di quanto, avrebbero potuto fare, rimando nel M5S. Due deputati che giustificano l’abbandono del Movimento, con identiche motivazioni, sia pure con dichiarazioni diverse. Ogni giorno ci sono delle novità, poco liete per Beppe Grillo e per il capo politico del M5S, ministro Di Maio, che deve tentare di superare grane continue. Sono molti i parlamentari che non hanno rispettato gli impegni assunti, all’atto della loro candidatura, in lista. Il pagamento della quota per il mantenimento del partito e quanto è dovuto, alla piattaforma Rousseau che lavora, in continuazione, per ogni necessità del gruppo parlamentare e per fornire studi a chi deve decidere la strategia del Movimento. Quote prestabilite che se non versate da tutti, diventano un problema, per il partito di Beppe Grillo. ” Non ci sono giustificazioni di sorta – ha tuonato Di Maio – chi è stato eletto ha firmato un documento che l’impegna a pagare, queste due quote da sottrarre dallo stipendio, che percepiscono come parlamentari”. Il capo politico ha aggiunto:” Quanti non si metteranno in regola saranno colpiti da provvedimenti disciplinari fino all’espulsione”. C’è da chiedersi cos’è che non ha funzionato tra gli eletti e i vertici dei grillini: questo è il vero punto da chiarire. Certo è che la posizione assunta da Di Battista, a difesa dell’espulso Paragone, non aiuta un chiarimento interno. ” Dibba” è stato durissimo con Di Maio, come non era mai accaduto almeno pubblicamente. Questa è la dimostrazione di come, lo sfilacciamento non è soltanto tra parlamentari e nella base, ma riguarda chi nel M5S conta molto, anzi moltissimo. Ale è un simbolo intoccabile per i grillini, e vederlo nella veste di censore che richiama, il capo politico, a rispettare Paragone, che ha sempre pensato, le stesse cose sostenute da lui da il senso di una spaccatura irrimediabile. Tutto questo accade nel momento in cui il Pd si è irrigidito contro il Guadasigilli che non vuole toccare, quello che lui ritiene lo “scalpo”, cioè la prescrizione, che scatta e determina una giustizia denegata. Ma il Pd, ha nel fianco il pungolo di Matteo Renzi che sostiene l’esatto contrario del ministro Bonafede. Un esecutivo che potrebbe non cadere solo per la paura di andare al voto è credibile? Cosa può fare un governo che galleggia su una crisi perenne? Il Pd può permettersi di andare avanti, con un alleato in queste condizioni? Non rischia troppo del suo 22%? E’ questo il motivo che assegna a Salvini, l’ex rozzo ministro dell’oltre Po, sondaggi alla mano, un 32% nonostante non sia più al governo? Gli elettori che hanno dato al M5S il 33% reali alle politiche del 2018 sono delusi? quanto? Valutazioni che devono fare, i partiti di governo, per dare e darsi delle risposte di come, e se possibile, uscire da questo vicolo cieco nel quale è finita la coalizione.