Per l’ex Ilva, la maggioranza si sta arrampicando sugli specchi, per non giungere al voto sulla reintroduzione dello scudo penale. Su questo argomento il M5S è spaccatissimo tanto che, se il provvedimento giungesse al voto in Parlamen to, la crisi sarebbe inevitabile. La maggioranza si dissolverebbe e lo scudo passerebbe, come preannunciato, con i voti del centrodestra: Lega, FdI e Forza Italia e… Italia Viva. I parlamentari del Movimento hanno detto no al Premier che cercava una soluzione transitabile proprio sullo scudo, che avrebbe dato più forza, ai commissari, nello scontro non solo legale, con la multinazionale ArcelorMittal. Un no dei parlamentari 5S che tende ad allargarsi anche ad altri membri di Camera e Senato. Si è in una situazione Kafkiana dove il Premier Conte, su questo decisivo argomento, non ha maggioranza e non può accettare i voti dell’opposizione. Non a caso, la Commissione Finanze della Camera, ha giudicato inammissibili gli emendamenti presentati da Italia Viva e Forza Italia per reintrodurre, lo scudo penale per l’ex Ilva. La motivazione del no è alquanto paradossale:”… si tratta di emendamenti estranei alla materia…”. Intanto è iniziato il conto alla rovescia, per il ricorso cautelare dei legali, dei commissari ex Ilva. Negli ambienti politici che contano si parla, di una trattativa con l’azienda che ha sbagliato il piano industriale, fino all’indire un’altra gara o “riesumare” l’offerta degli industriali che si sono piazzati al secondo cioè dopo la vincitrice ArcelorMitall e persino, di far funzionare l’acciaieria, non più a carbone ma a gas metano. Ogni nuova soluzione, pur di evitare il voto sullo scudo penale, che non passerebbe per la netta e decisa opposizione dei parlamentari pugliesi, felici se l’ex Ilva chiudesse i battenti, a loro non dispiacerebbe affatto. La saute dei tarantini è più importante di una fabbrica importante come lo è, a livello nazionale, l’ex Ilva, la più grande acciaieria d’Europa. Da parte sua, il ministro Di Maio ha sostenuto, facendosi coraggio e ben sapendo che, non riuscirebbe a convincere i parlamentari stellati, a cambiare il no, guidati dall’ex ministro Leuzzi, a capo della ” rivolta”. Il ministro per gli Esteri ha esternato un suo ragionamento: “Non credo che si arriverà ad un voto sullo scudo perchè il tema dell’alibi, poteva valere due mesi fa ma adesso, in pieno contenzioso, non ha più senso. Quando noi impugneremo l’atto non ha più senso inserire lo scudo, se siamo in trattativa, introdurre uno strumento che secondo la stessa multinazionale non servirebbe, se avessimo già in mezzo ad una strada 5000 lavoratori”. Intanto il ministro Patuanelli ha pubblicamente dichiarato che la multinazionale oggi avrebbe dovuto produrre 6,5 milioni di tonnellate di acciaio invece delle 4,5 ” sfornate”. Questo significa – ha aggiunto il ministro – che ArcelorMittal non sta rispettando il piano industriale ed è quindi inadempiente”. Alla domanda sullo scudo il ministro ha soggiunto:” il M5S è su posizioni diverse”. La realtà che si evince è che, il capo politico del Movimento, ministro Di Maio, non controlla più i parlamentari, come era già noto e che farà di tutto, per risolvere il caso Ilva, senza giungere ad un voto sullo scudo e quindi evitare una crisi che travolgerebbe lui stesso, come uomo politico, e il governo. Ma quello che lascia un silenzio assordante è il Pd che rimane estraneo alle trattative, alle decisioni da assumere e ai problemi dell’alleato che si dibatte in grosse difficoltà. Eppure l’ex Ilva vale 20 mila posti di lavoro che andrebbero difesi proprio dal Pd che vanta matrice di sinistra. Il PremierConte studia soluzioni per uscire indenne da questo dramma che vede la produzione di acciaio in Italia, ad un passo dal saltare in aria, con 20.000 lavoratori, indotto incluso, che potrebbero finire in cassa integrazione. Con un danno per tutte le altre azienda che utilizzano acciaio, a partire da quella automobilistica, costrette eventualmente ad acquistare l’acciaio all’estero. Chi si lecca i baffi è la Germania che ne trarrebbe enorme profitto, in un momento di recessione tecnica.