Roma – Prodi e Parisi contro LeU. Di Maio a Londra non creduto. Campagna guardando a dopo il 4 marzo

L’ex premier Prodi ha messo in “quarantena” Bersani, D’Alema e Grasso, fondatori di LeU, Per il professore non sono loro che rappresentano la sinistra e comunque hanno sbagliato: la scissione favorisce il centro destra e per lui è una jattura vera e propria: l’Italia ha bisogno di ben altro.. A nulla sono false le risposte piccate, di Grasso e Bersani, Prodi e soprattutto Parisi hanno raddoppiato la dose dei “no” a Liberi e uguali. Il centrosinistra c’è con il Pd. Le alleanze, con Bonino e Lorezin, non sono tali a cambiare il giudizio dei fondatori dell’Ulivo. Ma i partiti, in piena campagna elettorale, guardano avanti ben oltre il 4 marzo. Di Maio, leader del M5S, a Londra per incontrare gli investitori, non ha convinto nè di non essere a capo di populisti e nè di non volere inciuci, ma sono alleati che accettino il programma del Movimento. Ed infatti l’Agenzia Reuters, ha diffuso la notizia che Di Maio farà governi, con altre forze politiche, visto che non potrà raggiungere il 40%. Di Maio non ha nemmeno convinto nell’affermare che, come primo partito, la palla dovrà es sere giocata dal M5S.  A livello internazionale il discorso del governo solo con gli stellati e retto, di volta in volta, da votazioni su singoli temi, non solo non è stato accettato ma viene ritenuto impensabile. Sul fronte intero nel Cd, si nutrono serie preoccupazioni per l’ex premier Berlusconi che, nonostante lui si dichiara solo affaticato, in realtà per l’età che ha è per gli acciacchi conseguenti, non potrà svolgere un ruolo di primo piano,  con la partecipazione diretta, a comizi ovunque e dibattiti televisivi. I medici sconsigliano un simile impegno e la famiglia giustamente si oppone. Non è un fattore secondario, per il Cd, visto che l’ex cavalie re ha dimostrato di essere un battagliero temibile: ne sa qualcosa Bersani. Le realtà, di questa campagna elettorale, sono due: o dopo il 4 marzo, partiti diversi, formano una grande coalizione oppure devono pensa re, a rifare la legge elettorale, e tornare a votare dopo alcuni mesi. Questa seconda ipotesi, conoscendo bene come si sono sempre comportati gli eletti, una volta entrati a Camera e Senato, non accoglieranno nessun invito a dimissioni collettive: le poltrone, ben remunerate, non si lasciano: meglio l’accordo, comunque sia. Si può anche essere smentiti ma sarebbe, la prima volta che parlamentari appena eletti, si dimettano sen za aver “recuperato” nemmeno il denaro speso per la campagna elettorale. Suvvia non scherziamo!

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