Tutti a Berlino perchè la tregua in Libia regga e, per iniziare un processo di stabilizzazione di quel Paese, al centro del Mediterraneo e a poche miglia, dalla costa italiana e dai confini dell’Unione Europea. Dagli impegni c’è il sì di Serraj, capo del governo riconosciuto dal”Onu, e non mancherà il generale Haftar che oggi ha ricevuto a Bengasi il ministro del governo tedesco Maas, giunto appositamente per ottenere, la sua presenza. Ci sarà il Presidente Putin e il segretario di Stato americano ( chi si rivede per il Mediterraneo ) Pompeo, e l’Italia sta facendo di tutto per ottenere che, questa conferenza riesca a far tacere le armi, a calmare i bollenti spiriti dei Paesi arabi, Egitto ed Emirati Uniti, che appoggiano Haftar con l’intento, di scalzare Serraj o di dividere il Paese in due. Il Premier Conte, oggi era in Algeria, giunto dopo aver avuto incontri con i Presidenti della Turchia, Erdogan e dell’Egitto al Sisi. Con tutti Conte ha sostenuto che la Libia non ha bisogno, nè di altre armi e nè, di altri soldati. Ma proprio oggi, il Presidente Erdogan ha rilasciato una dichiarazione per far sapere che le sue truppe, si stano dislocando in Libia, per difendere il governo legittimo di Serraj. Intorno a questo Paese ci sono tantissimi interessi politici, economici e per “corridoi” non solo economici. Si vuole dire che intorno al tavolo di Berlino, a parte l’Italia che ha interessi anche economici ma soprattutto di sicurezza, visto che il Paese è già frequentato da combattenti di ventura, una volta Isis, che potrebbero facilmente penetrare ,nel nostro Paese come in quelli europei. Ogni partecipante alla Conferenza di Berlino, questa è la realtà, a parte il mantenimento della tregua rappresenterà interessi diversi e tra loro contrastanti. Certamente giusta la posizione dell’Italia di coinvolgere i Paesi confinanti, in un processo di pace della Libia che passa anche dalla loro collaborazione, ma non tutti, come avviene sempre, sono praticabili. Semmai durante la conferenza anche i lupi sembreranno agnellini ma, bisognerà capire, se sarà possibile, cosa celano nel non dire i loro interessi. Così come il governo italiano ci vada piano ed ottenga, tutte le garanzie possibili dall’Onu, UE e Paesi africani confinanti, se verrà chiesto di delocalizzare, parte del nostro contingente in M.O., in Libia. E’ terra che brucia, un Paese squassato da guerre continue e da un frazionamenio del territorio, tra le tante tribù che governano la loro fetta. Non conviene all’Italia di fare il classico passo in avanti. Meglio attendere che venga chiesta una nostra presenza, così come chiesta in Libano e per altri Paesi. Non è prudenza ma è l’unico modo per gestire una realtà, molto pericolosa ed esplosiva, per fare i primi della classe.