Milioni di italiani hanno partecipato, via video, ai funerali di Stato, del vice Brigadiere dei carabinieri, Mario Cerciello Rega, ucciso con undici coltellate mentre faceva il suo dovere. Non descrive rò il funerale, quello che ha detto, nel suo discorso il comandante generale dell’Arma, Giovanni Nistri. Mi limiterò a dire che c’erano, le massime autorità dello Stato, meno il Presidente della Repubblica, ed i sindaci di Roma e di Summa Vesuviana. Tantissimi i carabinieri, bandiere italiane listate a lutto, l’ordinario militare insieme ad un altro monsignore. Tanti discorsi, tante bellissime parole, pronunciate da quanti hanno preso la parola, compresa la moglie per 43 giorni di Mario, massacrato, da due americani in vacanza a Roma, in cerca di cocaina per lo sballo. Due diplomati, senza onori e gloria, come risulta dalla festa del diploma in un liceo di San Francisco. Due Balordi, uno era un bullo, come affermano gli altri studenti della scuola, ma solo con i deboli. Non ci interessa dire, chi ha avuto il coraggio di sferrare 11 coltellate ad un uomo, che sa pure in borghese ha gridato, ripetutamente, dopo ogni coltellata:”Fermati siamo carabinieri”. Finchè la lama ha trafitto il cuore di Mario ed ha segnato la fine, di un carabiniere, amato e stimato, per come svolgeva il suo lavoro. Mario Cerciello è uno dei tantissimi che, quotidianamente, come poliziotti, finanzieri, polizia locale e penitenziaria, rischiano la vita non soltanto per la pagnotta ma perchè amano il loro lavoro per proteggere gli italiani, anche quelli che non sanno, cosa fanno in divisa o i borghese, questi servitori dello Stato. Chi ha vissuto, come chi scrive, per decenni e decenni, nelle loro caserme ed ha preso con loro il caffè, come ogni giornalista, è riuscito a capire le preoccupazioni e le angosce e, tanta determinazione che si evidenziava, prima di qualsiasi operazione. Per quanto mi riguarda tutto è sempre avvenuto nel pieno rispetto della legalità. Tutti bravi, certamente no, ma gli operativi di tutti i vari corpi, sanno come e dove mettere le mani per trovare, quello che devono cercare, per rendere il lavoro dei giudici più facile. Credo che agli italiani bastino le parole del Gip di Roma: “Le condotte dei due americani testimoniano, la totale assenza di autocontrollo e capacità critica, evidenziandone la pericolosità sociale”. Per questa ragione i due giovanissimi americani, maggiorenni, sono stati lasciati in carcere. Non mi interessa, così come non m’importa nulla, quello che hanno scritto e scriveranno, il Washington Post o il Los Angeles Times. I due californiani, di cui uno reo confesso, devono rimanere in carcere in Italia, subire i processi e scontare le pene, che saranno diverse, visto che ora l’uno incolpa l’altro per la tragedia che li vede protagonisti di un omicidio, portato e termine, con rara freddezza, affondando nelle carni di Mario Cerciello Rega, un coltello da guerra, con una frequenza incredibile: un minuto, o forse meno, per 11 coltellate. Per questo omicidio non esistono alleanze o trattative. Si può comprendere il lavoro dell’ambasciata che si adopererà per trovare, i migliori avvocati che parlino anche l’inglese, come hanno già precisato. Ma lo Stato italiano non può accedere a nessuna richiesta, così come la magistratura deve emettere delle sentenze, attentamente giuste. Noi non abbiamo la pena di morte, per chi uccide un agente, ma abbiamo le carceri dove rinchiudere assassini e loro pari. Piuttosto, la morte de vice brigadiere dei carabinieri, deve richiamare i legislatori a proteggere di più e meglio, con leggi più severe e diverse dotazioni, di armi più sofisticate, chi è chiamato a difenderci. Interventi per cercare di saldare un debito, che noi tutti abbiamo nei confronti degli uomini che operano nei diversi corpi. Ecco come onorare, degnamete, la morte del carabiniere Mario ed i tanti che, prima di lui, si sono immolati ma rimasti ignoti.