Roma – Di Maio non è più capo politico del M5S. Il Movimento era già in crisi

Luigi Di Maio si è dimesso, da capo politico del M5S, per una serie di motivi che non ha esplicitato compiutamente nell’addio al suo incarico. Prima di riunire tutti i parlamentari al tempio di Adriano, l’ex capo del Movimento aveva parlato con Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio. Tra le motivazioni che lo hanno portato alla decisione: il fuoco amico che lo ha colpito più volte, l’emorragia di parlamentari che escono dai gruppi, di Senato e Camera,  per andare al misto, da dove affermano di continuare ad appoggiare il governo, bollati come persone… che avrebbero bisogno dello psichiatra. Altri hanno scelto di passare ad diversa forza politica che attualmente è in minoranza. Ma ci sono altri motivi: un uomo solo non può reggere, un Movimento come i 5S in continua mutazione, di umori ma anche di obiettivi e con le regionali alle porte, in Emilia Romagna e Calabria, dove il Movimento raccoglierà solo briciole, e D Maio sarebbe stato messo all’indice. Infine, non va nemmeno sottaciuto che Di Battista, prima di partire per l’Iran, non ha fatto mistero di essere contrario alla coalizione con il Pd, ” peggiore partito con cui lavorare per riformare il Paese”, così come pensano parte dei parlamentari. Infine Di Maio ha affermato che il suo mandato l’ha portato a termine: il Movimento va verso i ” facilitatori” presenti, in ogni regione, per reperire persone disposte a lavorare per il M5S, o ad organizzare liste di appoggio, alla condizione che non abbiano passati politici, e non abbiano bandiere. Di Maio, è stato un uomo solo al comando anche se consigliato da Grillo, ma molto di più da Casaleggio, con il quale aveva stretto un’amicizia, molto forte, che è andata al di là della politica. Il M5S va verso gli Stati Generali che cambieranno completamente l’organizzazione che si avvia a diventare, un  partito, come tutti gli altri. Di Maio ha cercato, nonostante il disegno rivoluzionario di Beppe Grillo, per essere realizzato aveva bisogno della maggioranza assoluta dei voti, di farlo in coalizione prima con la Lega e successivamente con il Pd, senza riuscirci in quanto impossibile. Di Maio, come capo politico del M5S, si è trovato spalle al muro ed ha lasciato. Questo abbandono avrà conseguenze? E’ presto per dirlo ma l’aria di crisi, nel Movimento, era già più che evidente e, il ministro per gli  Esteri. che lascia la carica apicale, farà contenti solo chi era contrario su come conduceva la battuta politica che tutti dovevano condividere. Tanti altri i nodi che dovranno essere affrontati da chi lo sostituirà. Al momento tocca a Crimi, come da Statuto, trovare il capo delegazione al governo. Successivamente, man mano il M5S, cambierà pelle e andrà ad assestarsi su un elettorato molto meno numeroso di quello ottenuto, nelle politiche del 2018, da considerare un massimo storico oggi impossibile. Immediatamente dopo che si è dimesso da capo politico del M5S Di Maio, ha parlato Zingaretti, segretario del Pd, che si è affrettato ad affermare che, a livello governativo, non cambierà nulla e lo stesso Premier ha detto la stessa cosa:” Non tornerà a fare il professore all’università anche se dovessero andare male le regionali”. Il malessere nel Movimento non era e non è controllabile ma c’è un collante, che va oltre la loro sparpagliata collocazione in ambito parlamentare: nessuno vuole andare ad elezioni anticipate. Le altre pagine che riguardano, il sogno utopico di Beppe Grillo,  tutte da scrivere senza avere la possibilità di fare previsioni. Una cosa è certa, Luigi Di Maio, rimarrà sempre nel Movimento, lo ha detto  prima di togliersi la cravatta d’ordinanza:” Il M5S è la mia casa”.

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